Piantare alberi era un gioco da ragazzi per i robot giardinieri. Come in una catena di montaggio, le unità specializzate eseguivano a ritmo serrato le varie fasi dell’operazione, dallo scavo delle buche alla ricopertura e compattamento del terreno attorno ai virgulti, avanzando con sicurezza sulle loro estremità cingolate. Alle spalle degli automi, il paesaggio brullo e sterile, punteggiato qua e là da sterpaglie rinsecchite, lasciava il posto ad un giovane, rado boschetto che si apprestava a diventare un’ariosa foresta assetata di anidride carbonica.
Un essere umano che si fosse trovato ad assistere allo spettacolo dei Siliron giardinieri al lavoro nelle pianure del Midwest avrebbe sperimentato sensazioni irripetibili, che mescolavano come in un pot-pourri striduli suoni metallici tipici di un opificio industriale novecentesco con odori di chiara impronta agreste e una visione assolutamente sbalorditiva ed inedita, come solo il futuro sa offrire. Peccato però che nessun vivente dotato di autocoscienza fosse lì, né poté gustarsi quel film che nessuna telecamera riprese, giacché Superbrain ritenne che gli umani non erano ancora pronti ad elaborare l’assurda idea che una creazione del loro intelletto potesse cercare di porre rimedio alle nefandezze da essi create senza un esplicito ordine impartito dalle autorità competenti.
Fu dunque così che venne dato inizio a quella che si rivelò essere di gran lunga la più vasta e definitiva operazione di riforestazione mai realizzata sulla Terra: nei cinque continenti, a tutte le latitudini, su tutti i terreni non irrimediabilmente desertici e non irreversibilmente consumati dalla civiltà umana nei secoli intercorsi fra la rivoluzione industriale e il crepuscolo dell’Antropocene, i Siliron intervennero scientemente con i mezzi più idonei per convertire la CO2 atmosferica in composti organici del carbonio, in ciò supportati dalla più formidabile e collaudata macchina acchiappa-carbonio mai esistita, ovvero quel prodigio della natura che va sotto il nome di fotosintesi clorofilliana.
Il piano, va da sé, fu studiato nei minimi particolari da Superbrain: esso prevedeva per ciascuna delle aree individuate un’accurata selezione delle specie da piantumare in funzione della natura del terreno, del clima e della piovosità, in modo da garantire nello stesso tempo una minima capacità produttiva di alimenti per la sussistenza delle popolazioni e un adeguato livello di biodiversità vegetale. Laddove la siccità indotta dal riscaldamento globale antropogenico spingeva verso il definitivo inaridimento dei suoli mettendo a repentaglio la crescita della vegetazione, furono costruiti degli acquedotti che convogliavano sui terreni da irrigare l’acqua dei bacini lacustri più vicini, oppure l’acqua marina desalinizzata grazie all’energia fornita da parchi eolici offshore. L’impiego di innovativi sistemi irrigui ad alta efficienza e il monitoraggio da remoto effettuato con le immagini satellitari e l’ausilio di droni fecero poi il resto.
L’obiettivo di un tale massiccio spiegamento di mezzi ed energia era tanto definito quanto visionario: dimezzare la CO2 accumulata in atmosfera, sputata dall’ottusa irresponsabilità dell’uomo schiavizzato dal mito del progresso, riportandola alle concentrazioni presenti all’inizio dell’Olocene, quelle che permisero l’esplosione della vita sulla Terra.
Superbrain sapeva bene che quel traguardo avrebbe richiesto secoli, forse millenni, e che nel frattempo i cambiamenti climatici avrebbero comunque esercitato il loro impatto nefasto sugli ecosistemi terrestri, ma una tale consapevolezza non scalfì minimamente la ferrea determinazione nel portare avanti il piano. A differenza degli umani, per i quali la tempistica di qualunque progetto non poteva superare i limiti dettati dalla loro natura mortale, il fattore tempo era nulla di più che un trascurabile dettaglio per degli esseri costituiti da sola materia inorganica.
Il sequestro stabile e duraturo dell’eccesso di CO2 atmosferica costituiva in effetti un vera e propria ragione di esistere per i Siliron, che sembravano essere mossi dall’ossessione di voler contenere l’aumento di entropia sul pianeta che avevano colonizzato, quasi dichiarando guerra aperta all’ineluttabilità del secondo principio della termodinamica.
Ma naturalmente nessuna ossessione che fosse realmente tale poteva albergare in circuiti elettronici privi dello spirito che irradia la specie umana, e dunque doveva esserci dell’altro, qualcosa che fosse decifrabile secondo le categorie della scienza o della logica, che spingeva Superbrain a plasmare in maniera così profonda la buccia della Terra processando senza sosta gigabytes su gigabytes, correndo ogni volta il rischio di fondere il nocciolo dei suoi potenti microprocessori.
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La buccia della Terra è disponibile in formato eBook e in versione cartacea. E’ possibile acquistarlo da questa pagina del sito IlMioLibro.it. La sinossi e le recensioni sono state pubblicate sulla pagina dedicata del blog.
Il Prologo del racconto è disponibile a questo link. Clicca sui rispettivi link per leggere i primi tre capitoli: Ferro, Elettroni e Silicio.